Oristano, 23 maggio 2025 – Gli amici della FIMSER, Federazione Italiana Mediatori Sociali Energie Rinnovabili, sono tornati a farsi sentire con una conferenza stampa che riporta al centro del dibattito energetico isolano una voce troppo spesso ignorata: quella dei tecnici, degli operatori e dei dati.
Mentre la Sardegna blocca ogni nuovo impianto da fonti rinnovabili con leggi restrittive come la LR 5 (Moratoria) e la LR 20 (Aree non Idonee), la Regione promuove un piano di metanizzazione dell’isola.
Una contraddizione evidente, aggravata dal fatto che la necessità del metano è tutt’altro che dimostrata. Uno studio condotto dalle Università di Cagliari, Milano e Padova ha dimostrato che le rinnovabili sono già oggi in grado di coprire quasi interamente il fabbisogno regionale. Le tecnologie esistono, sono mature, sostenibili e competitive.
Solo una piccola quota di aziende – con processi che richiedono calore ad altissima temperatura – ha ancora bisogno di combustibili fossili. Ma questo non giustifica in alcun modo la riconversione a metano della centrale di Fiume Santo, né la costruzione di un’intera rete gas.
Queste infrastrutture condannerebbero inoltre la Sardegna ad una dipendenza dalle fonti fossili attaverso il cosiddetto effetto lock-in (incastro) dovuto al fatto che gli approvvigionamenti della materia prima sono fissati con contratti a lungo termine (take or pay) per cui il gas, anche se non consumato, va comunque pagato per molti anni.
Il DPCM che cambia le carte in tavola
Nel silenzio generale, è stato reso noto un nuovo DPCM dal titolo altisonante:
“Individuazione delle opere e delle infrastrutture necessarie al phase out dell’utilizzo del carbone in Sardegna e alla decarbonizzazione dei settori industriali dell’isola”.
Questo decreto, che risponde a una Lettera di Intenti tra Regione Sardegna e MASE, prevede:
- Un FSRU (impianto galleggiante di rigassificazione GNL) nel porto di Oristano, per servire il centro-sud Sardegna.
Art. 2, comma 3, lett. c): “un impianto galleggiante di stoccaggio e rigassificazione del GNL (FSRU) nell’area portuale di Oristano con capacità netta di stoccaggio adeguata a servire il segmento centro-sud industriale e termoelettrico, le utenze delle province di Oristano, Sud Sardegna e Cagliari;”. - Un secondo FSRU a Porto Torres, subordinato alla riconversione della centrale di Fiume Santo.
Art. 2, comma 3, lett. d): “nell’ipotesi della riconversione a gas metano della centrale termoelettrica di Fiume Santo, la realizzazione di un FSRU a Porto Torres, con capacità netta di stoccaggio adeguata a servire il segmento nord industriale e il bacino di consumo della Città metropolitana di Sassari; Nelle more di una mancata o differita riconversione della centrale, tali utenze e i relativi tratti di rete saranno alimentati attraverso un trasporto su gomma (via camion) a partire dall’impianto di rigassificazione di Oristano;“ - A supporto di questi terminali, il DPCM prevede la realizzazione di un’importante infrastruttura: un metanodotto che collegherà Oristano alle aree industriali del Sulcis e della Città metropolitana di Cagliari.
Il grande assente: il buon senso
A sollevare più di una perplessità oltre alla insensatezza di un investimento anacronistico sul gas nel 2025 è la scelta della localizzazione del rigassificatore di Oristano. Se l’obiettivo è rifornire Cagliari e il Sulcis, perché partire da Oristano?
Esiste già un progetto approvato dal MASE, promosso da un soggetto privato, che prevede un FSRU nel Porto Canale di Cagliari. Questo percorso sarebbe più corto di oltre 80 km, non richiederebbe fondi pubblici, e sfrutterebbe tracciati già autorizzati.
E invece, la Regione spinge un tracciato alternativo: 107 km da Oristano a Cagliari, più altri 43 km fino al Sulcis. Totale: quasi 150 km di gasdotto pubblico. Il progetto è affidato a ENURA S.p.A., società partecipata da SNAM S.p.A. e SGI S.p.A..
Un’opera invasiva, da ogni punto di vista
Questo metanodotto ha ottenuto parere positivo di VIA, ma l’impatto sul territorio è enorme:
- attraversa 15 comuni;
- coinvolge oltre 1.000 siti archeologici, con 12 interferenze dirette già documentate;
- incide su aree protette come le ZPS e ZSC dello Stagno di Cagliari;
- attraversa corsi d’acqua e terreni agricoli e urbani, generando instabilità e servitù permanenti.
I numeri parlano chiaro:
- 546 ettari sotto servitù di metanodotto (fasce di inedificabilità tra 27 e 40 metri);
- 360 ettari di cantieri temporanei;
- 24 mesi di lavori e movimenti terra;
- migliaia di proprietari coinvolti, spesso inconsapevoli.
E mentre per un piccolo fotovoltaico si richiedono analisi preventive e scavi archeologici, un’opera lineare di 150 km scavalca tutto in nome dell’interesse pubblico.
Il paradosso della “virtual pipeline”
Durante i lavori, l’approvvigionamento verso i consumatori finali (ancora da individuare, visto che i venditori di gas in Sardegna hanno già oggi grande difficoltà a piazzare il loro prodotto sul mercato) sarà garantito da un sistema di trasporto su gomma.
Art. 2, comma 7: “Il trasporto su gomma del GNL […] è ricompreso nella virtual pipeline, assicurando la perequazione tariffaria su base nazionale dei costi.”
E qui arriva la beffa finale.
La Lettera di Intenti tra Regione e Governo è esplicita:
“Con particolare riferimento al tema della perequazione, sarà necessario ripartire l’onere su tutti gli utenti nazionali […] al fine di minimizzare l’onere aggiuntivo su ciascun utente nazionale.”
In sintesi: il gas per la Sardegna lo pagheranno tutti gli italiani in bolletta. Ma quando si parla di impianti rinnovabili, la parola d’ordine è “difesa dell’identità sarda” e “sovranità sul territorio”. Due pesi, due misure.
Una scelta politica, non tecnica
Questo DPCM qualifica il metanodotto come opera pubblica, urgente e indifferibile. Ma di urgente, qui, c’è solo la necessità di raccontare la verità.
Quella di un’opera:
- costosa,
- impattante,
- non necessaria,
- basata su una visione energetica già superata dai fatti.
La Sardegna ha il potenziale per guidare la transizione energetica italiana. Continuare a investire nel gas significa restare ancorati al passato e impedire alla nostra isola di cogliere le opportunità del futuro.
È tempo di scelte energetiche basate sulla scienza, l’interesse pubblico reale e il rispetto del territorio. Non su narrazioni politiche di comodo e operazioni industriali mascherate da transizione.
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